Giuseppe Cafasso, amico di san Giovanni Bosco, nacque a Castelnuovo d’Asti, un grosso borgo di campagna. Era il terzo di quattro figli in una famiglia contadina di discrete condizioni. Frequentò la scuola a Chieri, poco distante da Torino, ed entrò nel seminario locale, aperto da pochi anni per volere dell’arcivescovo. Si distinse come miglior studente del suo corso e fu ordinato prete nel 1833, con una dispensa speciale dell’autorità ecclesiastica, non avendo ancora raggiunto l’età canonica.
Trasferitosi a Torino per proseguire gli studi teologici, si sistemò in un alloggio modesto. Non trovando adeguati i corsi del seminario diocesano e dell’università, si spostò al Convitto Ecclesiastico, istituito da don Luigi Guala presso la chiesa di San Francesco d’Assisi, trovandolo più confacente alle sue esigenze. Superò brillantemente l’esame diocesano d’ammissione e don Guala gli affidò subito un insegnamento.
Quando don Guala chiese chi scegliere come insegnante, il suo assistente rispose:
«Il piccoletto», alludendo a Cafasso, piccolo di statura e rachitico.
Egli compensava il suo aspetto fisico con una voce melodica e serena, che don Bosco definiva «la tranquillità indisturbata». Dimostrò subito il suo talento di educatore, più che semplice insegnante: non si limitava a fornire nozioni, ma desiderava illuminare e dirigere le menti degli studenti.
Ben presto si diffuse la fama che all’istituto di San Francesco a Torino vi fosse un nuovo insegnante assai bravo. Era stimato anche come predicatore. Una volta disse a don Bosco:
«Gesù Cristo, Sapienza infinita, usava parole ed espressioni accessibili a chi lo ascoltava, seguine l’esempio».
Si serviva di una predicazione semplice e colloquiale, per incoraggiare la speranza e la fiducia in Dio, in contrasto con la dottrina rigorista dei giansenisti, secondo i quali anche la più piccola caduta era un peccato grave. Più tardi Cafasso scriverà:
«Quando confessiamo, nostro Signore ci vuole pieni di pietà e d’amore; tutti quelli che vengono da noi debbono sentire la nostra paternità, senza alcun accenno alla loro personalità o a ciò che hanno commesso. Se respingiamo qualcuno o se un’anima si perde per colpa nostra ce ne sarà chiesto conto».
Nel 1848, alla morte di don Guala, divenne direttore dell’istituto e della chiesa di San Francesco, compito arduo in un periodo turbolento di rivoluzioni e fermenti politici. Si prese cura di una sessantina di giovani preti provenienti da ambienti e culture diverse. Nonostante critiche e difficoltà, riuscì a mantenere saldo l’istituto grazie al suo insegnamento, alla fede luminosa e alla cura per ciascuno.
Il suo affetto per i giovani preti, e la sua insistenza sullo spirito mondano come peggior nemico, fecero sì che influenzasse tutto il clero piemontese, ma anche suore e laici di ogni classe sociale. Era molto cercato per la confessione, grazie a un’intuizione spirituale fuori dal comune.
Quando la Compagnia di Gesù fu soppressa, il santuario di San Ignazio a Lanzo Torinese passò sotto l’archidiocesi. Dopo don Guala, l’incarico fu assunto da Cafasso, che predicò ai pellegrini e organizzò esercizi spirituali per clero e laici. Portò a termine i lavori di ristrutturazione della foresteria e delle vie d’accesso al santuario.
La sua attività più nota fu però il ministero presso i carcerati. In un ambiente degradante e disumano, Cafasso portava affetto e conforto, accompagnando oltre sessanta condannati al patibolo, tra cui briganti e rivoluzionari, che chiamava «santi impiccati».
Giovanni Bosco lo conobbe nell’autunno del 1827, quando era ancora ragazzo:
«L’ho visto! Gli ho parlato!»
«Chi hai visto?» chiese la madre.
«Giuseppe Cafasso, e ti assicuro che è un santo».
Quattordici anni dopo, don Bosco celebrò la sua prima Messa nella chiesa di San Francesco a Torino, entrando nell’istituto, sotto la guida del Cafasso. Fu lui a introdurlo nei quartieri poveri e nelle carceri, aiutandolo a scoprire la sua vocazione tra i giovani. Il salesiano Giovanni Cagliero scrive:
«Noi amiamo e riveriamo il nostro caro padre e fondatore don Bosco, non di meno amiamo Giuseppe Cafasso, per oltre vent’anni maestro, consigliere e guida, nelle vicende spirituali e nelle iniziative, di don Bosco; oso dire che la bontà, i risultati, la saggezza di don Bosco sono la gloria di don Cafasso. Fu grazie a lui che don Bosco si stabilì a Torino, che i giovani si riunirono nel primo oratorio salesiano; l’obbedienza, l’amore e la saggezza che ha insegnato hanno portato frutti in migliaia di giovani in Europa, Asia e Africa, ragazzi che oggi sono ben preparati per la vita nella Chiesa di Dio e nella società degli uomini».
L’influenza di Cafasso toccò anche altri protagonisti della carità, tra cui:
Giuseppe Cafasso morì il 23 giugno 1860. Don Bosco fece l’elogio funebre e ne scrisse la biografia. Fu canonizzato da papa Pio XII nel 1947.