La figura di Giuseppe di Arimatea emerge con forza nei Vangeli in occasione della sepoltura di Gesù. È un uomo ricco e onorato, un proprietario terriero, che fa parte del Sinedrio. Secondo Marco «anche lui aspettava il regno di Dio». È cioè un ebreo credente la cui fede nella speranza di Israele si traduce nella simpatia verso Gesù e nel dissenso da coloro che hanno favorito la condanna. Matteo va oltre affermando che era un discepolo del rabbi di Nazaret, Giovanni specifica «di nascosto per timore dei giudei».
Dopo la morte di Gesù, Giuseppe, primo tra i giudei, abbandona ogni precedente pusillanime esitazione per aderire apertamente alla fede cristiana. Ricorre, difatti, alla sua posizione altolocata per ottenere da Pilato il corpo di Gesù. Secondo le abitudini dei romani, invece, esso doveva essere seppellito in una fossa comune. Un gesto di coraggio e di generosità, perché la simpatia per il condannato poteva esporlo al rischio di essere considerato complice del giustiziato e passibile del medesimo supplizio. Inoltre, il contatto con un cadavere gli impediva di celebrare la Pasqua giudaica ormai imminente.
Aiutato da Nicodemo, che porta aromi in grande quantità, Giuseppe si distacca così dal sistema cultuale degli ebrei e si prepara alla celebrazione della gloriosa vittoria del crocifisso sulla morte in quello stesso giardino dove Gesù apparirà risorto alla Maddalena. Dopo la Pasqua non abbiamo più sue notizie dai Vangeli canonici, ma solo dagli scritti apocrifi. La sua figura è familiare all'immaginario dei credenti per la presenza nelle innumerevoli rappresentazioni della deposizione e sepoltura di Gesù.
Durante il Medioevo, la figura di San Giuseppe di Arimatea assunse un ruolo centrale in due distinti gruppi di leggende che arricchirono l'immaginario collettivo dell'epoca. La prima di queste leggende lo ritraeva come il fondatore della cristianità britannica, mentre la seconda lo consacrava come il primo custode del Santo Graal. Queste narrazioni non solo plasmarono la percezione di Giuseppe di Arimatea, ma anche l'intero ciclo arturiano, una delle più influenti serie di racconti cavallereschi del Medioevo.
Le leggende su Giuseppe di Arimatea e il Santo Graal emersero nel XII secolo, periodo in cui la letteratura medievale cominciò a esplorare e sviluppare la mitologia del Graal. La figura di Giuseppe fu inserita nel ciclo arturiano grazie all'opera di Robert de Boron, un poeta francese del tardo XII secolo, che nei suoi scritti gettò le basi di questa tradizione leggendaria. Nel suo lavoro intitolato Joseph d'Arimathie, Robert de Boron descrive un incontro mistico in cui Gesù appare a Giuseppe, affidandogli il compito di custodire il Graal, la sacra coppa utilizzata nell'Ultima Cena. Successivamente, Giuseppe e i suoi seguaci avrebbero intrapreso un viaggio in Britannia, portando con sé la preziosa reliquia.
Questa narrativa fu ulteriormente sviluppata in successive opere letterarie, dove si affermava che Giuseppe di Arimatea avesse non solo inviato i suoi seguaci in Britannia, ma che egli stesso vi si fosse recato, diventando il primo vescovo di quelle terre. Secondo queste leggende, Giuseppe avrebbe affidato il Santo Graal a suo cognato, noto come Hebron o "Re Pescatore". Quest'ultimo, a sua volta, lo avrebbe trasmesso ai suoi discendenti, ognuno dei quali avrebbe portato il titolo di custode del Graal, perpetuando così una linea di successione sacra.
Tuttavia, non tutte le vicende legate al Graal furono pacifiche. Una maledizione si abbatté infatti sulle terre del Re Pescatore, portando alla scomparsa del Graal e del castello in cui era custodito. Questa perdita segnò l'inizio di una delle più epiche quest narrative del ciclo arturiano: la ricerca del Santo Graal da parte dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Sotto la guida di Re Artù e su consiglio del saggio Merlino, i cavalieri si lanciarono in una missione per ritrovare il Graal, ma solo pochi tra loro si rivelarono degni di una tale impresa.