San Carlo, fulgida gloria della Chiesa, nacque ad Arona sul Lago Maggiore il 2 ottobre 1538 dal conte Gilberto Borromeo e Margherita de’ Medici, nella stanza detta all’epoca “dei Tre Laghi” e oggi chiamata “di San Carlo” in suo onore. Venne battezzato poco dopo nella chiesa parrocchiale di Arona.
Dopo i primi studi, fu inviato all’Università di Pavia per studiare diritto; qui gli giunse la notizia che uno zio materno, il cardinale de’ Medici, era stato eletto Papa col nome di Pio IV. Dobbiamo riconoscere che egli cedette, in gioventù, alle consuetudini mondane del suo secolo; ma la morte del fratello Federico gli mostrò la vanità delle cose umane. Docile alla voce di Dio, riformò completamente se stesso e i suoi familiari, dandosi a una vita austera e penitente.
Poco più che ventenne fu creato cardinal segretario del Papa e in seguito nominato arcivescovo di Milano. Come segretario, lavorò con zelo indefesso per il Concilio di Trento e poi per l’attuazione pratica dei decreti emanati dal concilio stesso.
Morto Pio IV, suo zio, San Carlo lasciò Roma per recarsi alla sua sede arcivescovile, allora ridotta in condizioni tali da scoraggiare qualsiasi tentativo di riforma. Ma l’arcivescovo non indietreggiò: con prudenza e fortezza si diede ad abbattere e poi a riedificare. Pubblicò subito i decreti del Concilio di Trento, praticandoli egli per primo: eliminò dal suo palazzo ogni pompa secolare e vendette quanto aveva di superfluo, donandone il ricavato ai poveri.
Convinto che il mezzo migliore per riformare il popolo fosse formare buoni sacerdoti, seguendo le norme del Concilio fondò diversi seminari e istituì la Congregazione degli Oblati.
Infiammato da zelo apostolico, percorse più volte la sua vasta arcidiocesi nelle visite pastorali. Visitò anche Roma, il Piemonte, Trento, la Svizzera e molti altri luoghi, ovunque portando l’esempio della sua pietà. Nei suoi viaggi visitava i santuari più celebri, lasciando ovunque segni della sua profonda devozione.
La sua carità e il suo zelo risplendettero soprattutto durante la terribile peste di Milano, scoppiata mentre egli si trovava in visita pastorale nel 1572. Mentre i personaggi più illustri fuggivano terrorizzati, San Carlo tornò prontamente in città, organizzando l’assistenza agli appestati, il soccorso ai poveri e l’aiuto ai moribondi. Era il primo ovunque, sempre d’esempio. Per invocare l’aiuto divino, indisse processioni di penitenza alle quali partecipò a piedi scalzi e prescrisse preghiere e digiuni.
Alla peste seguì una gravissima carestia, e il santo prelato, dopo aver dato tutto ciò che possedeva, vendette i mobili dell’arcivescovado e contrasse anche forti debiti per soccorrere i bisognosi.
Nell’ottobre del 1584 si ritirò sul Monte Varallo per un corso di esercizi spirituali. Lì si ammalò e, trasportato a Milano, spirò il 3 novembre dello stesso anno.
PRATICA. Riconosciamo nei sacerdoti, e specialmente nei vescovi, il diritto di pascere le anime e condurre i popoli a Dio, e siamo docili alle loro direttive.Nel romanzo I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, la figura di San Carlo Borromeo – pur non essendo protagonista diretto – assume importanza simbolica e storica. Viene evocata come modello di santità e autorevolezza morale, soprattutto tramite la digressione sul cugino Federico Borromeo: «prese l’abito dalle mani di quel suo cugino Carlo, che una fama, già fin d’allora antica e universale, predicava santo».
Più avanti, nel capitolo XXXII, Manzoni descrisse l’episodio della processione delle reliquie di San Carlo per le vie di Milano in occasione della peste, utilizzato come segno di fiducia e di sostegno spirituale per il popolo afflitto. In questo modo Manzoni inserì San Carlo non solo come figura storica, ma come riferimento etico e religioso che trascende la narrazione specifica del romanzo.
Nel dipinto L’angelo annuncia a San Carlo Borromeo la fine della peste di Teodoro Vallonio (1614), il santo è raffigurato in atteggiamento di preghiera tra gli appestati, con lo sguardo rivolto al cielo, dove un angelo discende portando il segno della cessazione del flagello. L’opera esprime uno dei temi iconografici più frequenti legati a San Carlo Borromeo: la sua intercessione presso Dio durante la peste di Milano del 1576-1577, simbolo della sua carità, del suo coraggio pastorale e della fiducia nella Provvidenza divina.
La peste che colpì Milano nel 1576-1577 venne appellata Peste di San Carlo proprio in riferimento alla figura dell’arcivescovo Carlo Borromeo, la cui instancabile opera di assistenza e di intercessione rimase impressa nella memoria collettiva. Egli non solo guidò spiritualmente la città durante l’epidemia, ma ne divenne il simbolo di speranza e di fede: visitò i malati, organizzò ospedali temporanei, promosse opere di carità e processioni di penitenza, rimanendo sempre in prima linea accanto ai sofferenti.
Per questo motivo, il popolo riconobbe in lui il vero pastore che non abbandonò il suo gregge nel momento del pericolo, attribuendo alla sua preghiera e al suo esempio la cessazione del morbo. L’epidemia fu così ricordata non tanto per la devastazione che causò, ma per la santità con cui Carlo Borromeo la affrontò, trasformandola in un evento di fede e di rinascita spirituale.

