Felice nacque nell'anno 1513 a Cantalice, piccola terra della Sabina ai confini dell'Abruzzo, da poveri ma pii genitori; i quali gli insegnarono ad amar Dio sino dalla fanciullezza.
A 12 anni si accomodò con un contadino benestante di Civita Ducale, il quale lo destinò a lavorare la terra. Passando la maggior parte del tempo in campagna, visse in una mirabile semplicità ed innocenza, pensando spesso a Dio, a cui offriva tutte le fatiche e i disagi del suo mestiere, e facendo frequenti orazioni, per implorare l'aiuto e la grazia di Dio. Siccome non sapeva leggere, cercava con ogni studio di ascoltare la parola di Dio quanto più gli era permesso, e di leggere libri spirituali, e specialmente le vite dei Santi.
Un giorno si sentì ispirato a imitare le penitenze e le austerità che udiva essere state praticate dai Santi Eremiti, per acquistare il regno dei cieli; e a questo fine risolvette di abbracciare l'istituto dei religiosi di San Francesco, chiamati Cappuccini. Felice, all'età di 30 anni, si portò dal Guardiano dei Cappuccini di Civita Ducale, il quale, prima di riceverlo, lo condusse in chiesa, e mostrandogli un'immagine del Crocifisso, gli disse: vedi Colui che tu devi imitare e seguire. Indi lo inviò a Roma dal Provinciale dell’ordine, il quale l’accolse benignamente.
Felice intraprese la carriera della penitenza e dell'osservanza regolare con gran fervore di spirito, senza mai rallentare, anzi facendovi sempre nuovi progressi. Ubbidiente ai comandi dei superiori, gli bastava un solo cenno per eseguire tutto quello che gli veniva ordinato, duro e difficile che fosse. Era vigilante nel custodire i suoi sentimenti, e particolarmente gli occhi, in modo da non osservare oggetti pericolosi o vani.
Amava in modo particolare l'orazione, che è la sorgente di tutte le grazie celesti: e siccome era analfabeta, e non sapeva leggere, così soleva dire che egli non studiava se non sei lettere, cinque rosse a una bianca, e che queste sole gli bastavano per divenir dotto nella scienza dei Santi. Per le cinque lettere rosse intendeva le cinque piaghe e la passione di Gesù Cristo, ch’era il soggetto ordinario delle sue meditazioni, da cui apprendeva la pratica di tutte le più sublimi virtù. La lettera bianca significava la purezza illibata di Maria Madre di Dio, della quale era devotissimo, studiandosi di imitare le eccelse sue virtù, e specialmente la purità, la quale sopra ogni altra virtù rende le anime care ed accette alla Santissima Vergine. Per conservare più facilmente questa virtù della purità, e per meritare insieme la protezione della Vergine, macerava la sua carne con penitenze e austerità: e non contento di quelle che prescriveva la regola di San Francesco, osservata letteralmente dai Padri Cappuccini, ne aggiungeva delle altre più rigorose.
Fu destinato ad accattare il pane per i suoi religiosi nella città di Roma, dove visse per più di 40 anni, esercitando in tutto questo tempo tale uffizio faticoso di cercare in questa grande città con tale modestia, semplicità e carità che divenne l'oggetto dell'ammirazione e della venerazione di ogni sorta di persone, anche delle più illuminate e tra le altre di San Carlo Borromeo e di San Filippo Neri, i quali facevano grande stima di lui.
Prendeva due o tre ore al più di sonno sulle nude tavole, tenendo per capezzale un fascio di sarmenti. Faceva continui e rigorosi digiuni, contentandosi per lo più di pane ed acqua in poca quantità. Soleva chiamare sé medesimo il giumento del convento, e il suo corpo Frate Asinello, sì per disprezzarsi ed avvilirsi, sì per significare che ad altro non tendevano le sue brame, se non a faticare, a mortificarsi, e a ricevere mali trattamenti. Si degnò il Signore Iddio onorare il suo Servo del dono dei miracoli e della profezia, e di altri favori celestiali, tra i quali si annovera quello di avere ricevuto il Bambino Gesù fra le sue braccia in una visione, in cui apparve la SS. Vergine.
Finalmente si compiacque di esaudire i suoi ardenti desideri, chiamandolo a sé con una morte preziosa il 18 di maggio dell’anno 1587, in età di anni 74.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Spalato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, san Felice, martire durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.Le sue raffigurazioni iconografiche di San Felice includono frequentemente il saio bruno cappuccino, la bisaccia del questuante, il rosario e il Bambino Gesù, simboli della sua profonda spiritualità e del suo servizio ai poveri.
Ecco alcuni esempi significativi di opere d'arte che lo raffigurano:
Peter Paul Rubens – San Felice da Cantalice
In questo dipinto, Rubens rappresenta il santo in abiti cappuccini, con una bisaccia, simbolo della sua attività di questuante. L'opera esprime la dignità e l'umiltà del frate.
Stern rappresenta il santo inginocchiato davanti a un altare, mentre tiene in braccio il Bambino Gesù. In primo piano si nota il caratteristico sacco pieno di pani, simbolo della sua attività di questuante.
Quest'opera del XVII secolo mostra il santo in atteggiamento devozionale, evidenziando la sua umiltà e dedizione. L'opera è attribuita a Jean Claret e si inserisce nella tradizione pittorica dell'epoca.
In questa rappresentazione, il santo è raffigurato con il saio cappuccino e il rosario, elementi distintivi della sua iconografia. L'opera risale al XVII secolo e riflette lo stile dell'area lombardo-veneta.
Nuvolone dipinge il santo in adorazione davanti alla Madonna con il Bambino, sottolineando la sua devozione mariana. L'opera è un esempio della pittura lombarda del XVII secolo.
In questo dipinto, Ceresa raffigura il santo accompagnato da un angelo, simbolo della sua spiritualità e connessione con il divino. L'opera è conservata nel patrimonio artistico ecclesiastico.
Stern rappresenta il santo mentre riceve il Bambino Gesù dalla Madonna, evidenziando la sua profonda devozione. Il dipinto risale al periodo 1714–1716.
In questa composizione del 1723, la Madonna porge il Bambino al santo inginocchiato, mentre San Giuseppe osserva la scena. L'opera è attribuita a Grati e riflette lo stile barocco dell'epoca.
Questo dipinto del 1784 mostra il santo in adorazione davanti alla Sacra Famiglia, sottolineando la sua umiltà e devozione. L'opera è attribuita a Padre Fedele da San Biagio, noto per la sua attività artistica nel XVIII secolo.>
Barbelli raffigura il santo accanto alla Madonna con il Bambino, in un contesto devozionale tipico della pittura lombarda del XVII secolo.
In questa scena natalizia, Ceresa inserisce il santo tra i pastori adoranti, evidenziando la sua partecipazione al mistero della Natività. L'opera risale al periodo 1645–1650.
Ghezzi rappresenta il santo in estasi mentre riceve la visione della Sacra Famiglia, sottolineando la sua profonda spiritualità. L'opera è un esempio della pittura religiosa del XVIII secolo.
In questo dipinto del 1679, la Madonna presenta il Bambino al santo, evidenziando il suo ruolo di intercessore e la sua devozione mariana.
Quest'opera del XVIII secolo raffigura il santo in atteggiamento devozionale, con gli attributi tipici del suo ordine. L'opera è conservata nella Parrocchia di San Felice da Cantalice.
In questa rappresentazione, il santo è raffigurato in uno stato di estasi mistica, evidenziando la sua profonda connessione con il divino. L'opera risale al XVIII secolo e riflette lo stile della scuola genovese.
Pochi lo sanno, ma il 18 maggio non è una data speciale solo per il calendario liturgico: per Claudio Baglioni, celebre cantautore romano, questa giornata coincide con un ricordo indelebile, legato agli inizi della sua carriera. Il suo legame affettivo e simbolico con San Felice da Cantalice, infatti, è tanto forte da averlo definito il proprio “Santo protettore dei concorsi canori”.
“Non me ne voglia nessuno, ma è San Felice da Cantalice, celebrato il 18 maggio, il mio Santo protettore dei concorsi canori. Chi ha Sanremo, chi Saint Vincent, io ho San Felice, protettore del mio quartiere romano Centocelle (dove il Santo visse a lungo)”, ha dichiarato Baglioni con affetto e ironia in una delle sue interviste.
La storia inizia oltre cinquant’anni fa, durante la festa patronale di San Felice a Centocelle. Baglioni, ancora ragazzino, si iscrisse a un concorso canoro organizzato da Ottorino Valentini, spinto dal desiderio di emulare due amici di condominio. L’esibizione si svolse proprio in Piazza San Felice. Per l’occasione, la madre confezionò un completo dai colori vivaci — camicia rosa e pantaloni celesti — mentre il padre, con spirito da direttore artistico, scelse il brano “Ogni volta” di Paul Anka. Quell’anno Baglioni non vinse, ma tornò sul palco dodici mesi dopo, conquistando il primo posto. Fu l’inizio di tutto: da lì capì che la musica sarebbe stata la sua strada, e iniziò a studiare chitarra.
Il legame con il quartiere d’origine e con San Felice non si è mai spezzato. Anzi, è stato rinnovato nel 2007, quando Baglioni tornò a esibirsi a Centocelle con un concerto improvvisato dal balcone di un’amica di famiglia, proprio come ai vecchi tempi. In un post, il cantante ha scritto con affetto:
“Quando vedo sul calendario accanto alla data del 18 maggio il nome melodioso, con rima interna baciata, di quel frate cappuccino, mi tornano in mente la sua figura barbuta e gigante sull’intera facciata della chiesa lontana laggiù in fondo alla strada, e tutti quei fatti accaduti. E a proposito di quanto successo, a Te t’hanno fatto beato e poi santo e per me il successo è arrivato davvero. Perciò San Felice carissimo, sarai Felice due volte”.
A differenza di molti artisti che col tempo sembrano dimenticare le proprie origini, Baglioni ha sempre mantenuto vivo il ricordo della sua giovinezza, delle sue radici popolari e del santo che, nel suo immaginario, ha “benedetto” i suoi primi passi nel mondo della musica. Alcuni sostengono addirittura che, in gran segreto, il cantautore abbia visitato anche Cantalice, paese natale di San Felice. Vero o no, resta il piacere e l’orgoglio, per chi conosce quella piccola realtà e quel santo cappuccino, di aver ispirato — almeno spiritualmente — una delle carriere più straordinarie della musica italiana.