Nacque a Mercatello (Marche) nel 1660, e nel battesimo le fu imposto il nome di Orsola.
Giovanetta, fu posta dalla madre moribonda sotto la protezione del Salvatore, ed ella ne concepì subito una grande devozione, che le fu sorgente di molte grazie. Desiderava sempre di soffrire qualcosa per Gesù; si diede all’acquisto delle virtù dell’umiltà e dell’ubbidienza che adornarono la sua fanciullezza.
Con la pazienza e le preghiere vinse l’ostinato padre, che la voleva sposare a qualche nobile, ed entrò nel convento delle Cappuccine di Città di Castello. A diciassette anni fu ammessa con grande giubilo alla professione dei voti religiosi e prese il nome di Veronica.
Da vera religiosa, non pensava ad altro che a piacere a Gesù, senza curarsi delle speranze e delle fallaci attrattive del mondo. Tale rinuncia a se stessa e una dedizione generosa al Signore furono inizio di quella perfezione che la condusse alla santità.
All’età di 33 anni, ebbe più volte la visione di un calice ripieno d’un liquore che le provocava indicibile ripugnanza. Al tempo stesso subì l’incoronazione di spine, che lasciò attorno al suo capo profonde e acute trafitture. I dolori furono aumentati dai medici, che si dichiararono impotenti dopo aver tentato invano di guarirla.
Fra tanti spasmi, si mantenne sempre completamente sottomessa al volere di Dio. Con licenza dei superiori, incominciò un digiuno a pane e acqua che durò tre anni.
Nel Venerdì Santo del 1697, mentre domandava a Dio umilmente e di cuore perdono dei suoi peccati, le apparve Gesù Crocifisso e le impresse le sacre stimmate. Il vescovo, informato del prodigio, venne a visitare la suora e si accertò del miracolo: il sangue fluiva dalle ferite dei piedi, delle mani e del costato.
Veronica, lungi dal voler ingannare chi la circondava, si mostrava timorosa che ciò che avveniva in lei fosse opera del demonio. Anche i superiori vollero accertarsi dell’origine del fatto e, a tal fine, posero alla prova la virtù della serva di Dio: fu deposta dalla carica di maestra delle novizie, rinchiusa in una cella dell’infermeria, derisa, maltrattata, privata della Comunione e persino scomunicata.
Ma la pace del cuore non l’abbandonò mai; si rammaricava soltanto di non poter ricevere Gesù ed assistere alla Santa Messa.
Cessata la dura prova, le consorelle mutarono il loro disprezzo in alta stima, avendo riconosciuto la sola virtù di suor Veronica. Gesù, però, volle partecipare alla sua serva altri dei suoi dolori: tutti gli strumenti della Passione furono impressi in modo sensibile nel cuore di Veronica.
Nel 1716 fu eletta badessa e vi rimase fino alla sua morte, che avvenne il 9 luglio 1727, dopo cinquant’anni di vita claustrale.
All’autopsia risultò che il suo cuore era trafitto da parte a parte. Dopo aver ricevuto le piaghe della Passione di Cristo, infatti – rivela nel diario spirituale – «piansi molto e con tutto il mio cuore pregai il Signore di volerle nascondere agli occhi di tutti».
Nulla sapremmo delle esperienze di Veronica se il suo direttore spirituale non le avesse ordinato di trascriverle. Lo fece per 30 anni e il risultato è il «Tesoro nascosto», pubblicato in 10 volumi di 22.000 pagine dal 1825 al 1928.
Morì nel 1727, dopo 33 giorni di malattia. È santa dal 1839 e il suo corpo giace nel Monastero di Santa Veronica Giuliani, a Città di Castello.
«Facendo orazione la notte», racconta santa Veronica Giuliani, «ho avuto una visione particolare di nostro Signore, coperto da un sudore di sangue, proprio come nel Giardino del Getsemani. Il Signore mi fece comprendere quale grande dolore provò nel Cuore nel vedere la perfida ostinazione di tanti peccatori induriti e come non si fece neanche caso al suo Preziosissimo Sangue.PRATICA L'unione con Dio suppone la morte completa ad ogni ombra di vizio, ed una dedizione senza riserva a Dio
Egli mi disse: “Chiunque si unirà a queste intime pene che io indurrò, riceverà da me qualsiasi grazia mi verrà a chiedere”.
Mi disse ancora: “Mia beneamata, ho sofferto molto portando la Croce sul cammino del Calvario; e ho sofferto di più ancora nell’intimo del mio Cuore quando ho incontrato la mia Santa Madre. Eppure, più grande fu il tormento che mi causò la vista continua di tutti quei miei pargoli, che non davano alcun valore a quel dolore così atroce”.
(Giorno di Venerdì Santo 1694)
«... non posso dire altro: Dio è pazzo, fa pazzie d’amore; resto anch’io impazzita, attonita per tanto bene.»