La Penitenza di Pelagia, così come la possiamo ricostruire dai manoscritti greci e dalle traduzioni, è un racconto edificante ma assai ben condotto, una sorta di dramma spirituale la cui azione si svolge dapprima ad Antiochia, terza città dell’Impero romano celebre per la sua ricchezza, i suoi divertimenti e i suoi studenti, per poi spostarsi nella città santa di Gerusalemme, sul monte degli Olivi.
Una strana relazione si stabilì tra i due protagonisti, una donna di cattivi costumi e un asceta. Pelagia era un’attrice di mimo, giovane, ricca e bella, che sembrava avere tutto ciò che si poteva desiderare: oro, gioielli, perle (da cui il suo nome d’arte: Margherita, cioè “la Perla”), schiavi, ancelle e numerosi amanti. Nata da una famiglia cristiana, non mise mai piede in chiesa. Il vescovo Nonno era invece una figura completamente diversa: dapprima monaco nell’ordine di Tabennesi, fondato da Pacomio, e poi vescovo di Eliopoli (Baalbek), una roccaforte del paganesimo che egli aveva appena convertito alla fede cristiana.
Il racconto è narrato dal diacono Giacomo, testimone oculare degli eventi, la cui voce serve a dare vivacità e autenticità alla storia. Durante un concilio ad Antiochia, alcuni vescovi erano seduti davanti alla cappella di San Giuliano mentre Nonno predicava; in quel momento passò Pelagia, superba e impudica, circondata dal suo corteo. Tutti distolsero lo sguardo, tranne Nonno, che invece scoppiò in lacrime, colpito non dalla sua bellezza, ma dallo zelo che ella impiegava nel servire il male, confronto che lo fece vergognare della propria lentezza nel servire Dio. Scosso nel profondo, trascorse la notte in penitenza e preghiera, e il Signore gli inviò un sogno premonitore di ciò che sarebbe accaduto.
La domenica seguente, la provvidenza volle che Nonno predicasse nella Grande Chiesa di Antiochia, proprio mentre Pelagia entrava. Colpita dalle sue parole, scoppiò in lacrime e chiese di essere battezzata. Nonno, tuttavia, non volle ammetterla al sacramento se non presentava una garante, come richiesto allora per le donne penitenti. Intervenne allora il vescovo di Antiochia, che affidò Pelagia alla diaconessa Romana come madre spirituale. Così l’attrice poté ricevere il battesimo e ritrovare la sua innocenza e il suo vero nome.
Da quel momento iniziò per Pelagia un cammino di tre anni, che la condusse da una vita di peccato a una totale devozione a Dio. Il diavolo tentò più volte di ricondurla al male, ma ella resistette e, distribuendo le sue ricchezze ai poveri, abbandonò tutto per dedicarsi alla penitenza. Ricevuti da Nonno una tunica e un cilicio, scomparve nella notte, lasciando Romana nella paura e nel dolore.
Tempo dopo, Giacomo, recatosi in pellegrinaggio a Gerusalemme, visitò su consiglio di Nonno il santo eremita Pelagio, murato in una cella sul monte degli Olivi. Non riconobbe in lui colei che un tempo era stata la “perla di Antiochia”, e solo dopo la morte dell’eremita, durante la vestizione del corpo, scoprì la verità. Pelagia, ormai trasformata, era divenuta esempio di virtù e di conversione per tutto il mondo cristiano.
Nel corso dei secoli, il racconto della Penitenza di Pelagia subì modifiche e adattamenti: alcuni dettagli liturgici e personaggi secondari, come il diacono Giacomo, vennero ridotti o eliminati, e il dramma spirituale fu spesso semplificato in una comune storia di conversione. In alcune versioni, come in un compendio in antico francese, la narrazione si conclude addirittura con il battesimo, omettendo completamente la vita eremitica e la morte della santa.
Poesia e verità
 La leggenda di Pelagia, pur densa di elementi simbolici, sembra poggiare su un fondo di realtà. È possibile che l’autore si sia ispirato a una martire realmente esistita ad Antiochia nel IV secolo, anch’essa di nome Pelagia, celebrata da Sant’Ambrogio e lodata in un’omelia di San Giovanni Crisostomo. Così, tra verità storica e costruzione poetica, la figura di Pelagia rimane una delle più suggestive testimonianze di redenzione femminile dell’antichità cristiana.
 
  
  
  
  
 