Giuseppe Rossi nacque il 3 novembre 1912 a Varallo Pombia, in provincia di Novara, in una famiglia umile e profondamente religiosa. Fin da giovane, Giuseppe mostrò una forte inclinazione verso la vita spirituale. Questa vocazione lo portò nel 1925 ad entrare in Seminario, dove iniziò il suo percorso formativo per diventare sacerdote. Dopo dodici anni di studi e preparazione, il 29 giugno 1937, Giuseppe Rossi fu ordinato sacerdote, un traguardo che segnò l'inizio di una vita dedicata al servizio di Dio e della comunità.
L'anno successivo alla sua ordinazione, don Giuseppe fu assegnato come parroco a Castiglione Ossola, un piccolo paese montano. Qui, don Giuseppe si immerse con entusiasmo nel suo apostolato. Si dedicò particolarmente alla formazione dei giovani, diventando una guida spirituale per molti. Sotto la sua direzione, l'Azione Cattolica femminile e le Conferenze di San Vincenzo divennero punti di riferimento per la comunità. Don Giuseppe era conosciuto e amato per il suo impegno nell'assistenza ai poveri e ai malati, incarnando i valori della carità e del servizio.
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la Val d’Ossola, dove si trovava Castiglione, divenne teatro di violenti scontri tra partigiani e forze fasciste. Il 26 febbraio 1945, un feroce scontro tra la Brigata Nera Ravenna e i partigiani si concluse con la morte di due militi fascisti e il ferimento di una ventina. La rappresaglia fascista non tardò ad arrivare: diverse case furono incendiate e vari abitanti, tra cui don Giuseppe, furono presi in ostaggio. Sebbene don Giuseppe fosse rilasciato lo stesso giorno, il suo calvario non era finito.
Quella stessa sera, verso le 20, don Giuseppe Rossi fu nuovamente prelevato da due militi fascisti. Fu portato nel Vallone dei Colombetti, nei pressi di Castiglione Ossola, dove subì un martirio brutale. Costretto a scavarsi la fossa a mani nude, fu ripetutamente percosso. Un masso di sette chili fu usato per colpirlo alla testa, sfondandogli il cranio. Infine, fu colpito con una coltellata e un colpo di arma da fuoco che ne provocarono la morte.
La morte di don Giuseppe Rossi è un esempio chiaro di martirio "ex parte persecutorum" e "ex parte victimae". Il suo assassinio fu una diretta conseguenza dell'odio del regime fascista nei confronti della Chiesa e dei suoi rappresentanti. Le Brigate Nere, particolarmente la 29a intitolata a Ettore Muti, furono note per la loro brutalità e considerarono la figura di don Giuseppe un pericolo per il regime, tanto da decidere di eliminarlo.
Nonostante i pericoli, don Giuseppe rimase fedele alla sua missione. Non si schierò politicamente, ma si dedicò con la massima carità al suo ministero, cercando di aiutare chiunque si trovasse in difficoltà. La sua morte testimonia la sua devozione e il suo coraggio nell'affrontare le avversità per amore della sua comunità e della sua fede.
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